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Videodrome: l’oggetto modificante e la nascita della “nuova carne”

Immagine del redattore: Monolite TeatroMonolite Teatro

La recente uscita di The Substance (2024) ha portato sotto gli occhi del grande pubblico una nuova declinazione del body horror, riuscendo a riportare in voga un genere che, sin dagli anni ’70, ha saputo esplorare i confini tra il corpo umano, la psiche e le sue trasformazioni. Tra i registi che più hanno saputo scandagliare le profondità inquietanti di questo sottogenere spicca il nome di David Cronenberg, un autore che ha saputo trasformare la mutazione del corpo in una metafora potente per indagare i grandi temi della modernità: l’alienazione, il rapporto con la tecnologia, la sessualità e il potere dei media. Con uno stile inconfondibile, Cronenberg ha reso tangibile l’orrore intimo della trasformazione fisica, non solo attraverso effetti speciali rivoluzionari, ma anche grazie a una narrazione stratificata, che invita lo spettatore a confrontarsi con le proprie paure e desideri. La sua capacità di anticipare i mutamenti della società e di rifletterli attraverso i corpi posti davanti alla macchina da presa rende il suo lavoro un ponte fondamentale tra cultura pop e profonda analisi filosofica. Alla luce di queste riflessioni, il ritorno del body horror avvenuto negli ultimi anni con pellicole come The Substance o Men (2022) di Alex Garland, non rappresenta solo un omaggio alle radici del genere, ma una sfida contemporanea: riuscire a rinnovare un linguaggio che, soprattutto grazie al suo fondatore David Cronenberg, è diventato un potente strumento per esplorare l’identità umana in tutte le sue fragilità e potenzialità.


Con questo breve articolo vorremmo provare a dare un inquadramento generale dell’opera di questo regista, ad individuare il più o meno esplicito fil rouge che collega tutti i suoi film (o quasi) e a fornire, ci auguriamo, un aiuto o una piccola guida per muoversi all’interno di una filmografia piuttosto complessa e sfaccettata, seppur non particolarmente vasta. Cercheremo di ridurre al minimo gli spoiler e, per mantenere la tradizione di questa rubrica del trattare un film per articolo, ci concentreremo su quella che crediamo sia la pellicola più emblematica e centrale nell’intera carriera del regista, ovvero Videodrome (1984).



Molta critica cinematografica divide la carriera di Cronenberg in due fasi: quella della mutazione del corpo e quella della mutazione della psiche. La prima dovrebbe concernere il Cronenberg del body horror, ovvero da Shivers (1975) a The Fly (1986), quello intento a fare cinema di genere che, nell’intrecciare orrore, splatter e sessualità, come già accadeva in molto cinema da drive in di quegli anni, inventa un nuovo modo per guardare dentro all’essere umano tramite il mezzo cinematografico. Nella seconda fase, da Dead Ringers (1988) a Maps to the stars (2014) il cambiamento fa riferimento ad un aspetto maggiormente cerebrale. A nostro parere, però, questa divisione si mostra come al contempo un po’ semplicistica e molto arbitraria. È vero che Cronenberg, da un certo punto di vista, ha abbandonato il genere horror per spostarsi altrove, ma questo cambiamento crediamo riguardi più un piano stilistico e cinematografico che non concettuale. Il regista canadese ha sempre parlato di mutazione della mente quando ha parlato di mutazione della carne e, viceversa, ha mostrato diverse mutazioni del corpo anche in molti film che dovrebbero rientrare nel secondo periodo. Una prova della poca adeguatezza di questa divisione sta proprio nell’ultima pellicola del regista, ovvero  Crimes of the Future (2022), dai più raccontato come un ritorno di Cronenberg al body horror e che invece è, secondo noi, semplicemente un altro tassello che, seppur certamente volga lo sguardo ai primi film del regista, fa in realtà parte di un discorso coerente ed in continua evoluzione.


La lettura che vorremmo provare portare della filmografia di questo regista gravita intorno alla centralità di Cronenberg di quello che definiremmo come mutamento del soggetto, ovvero del protagonista. In questo caso, però, a differenza di un classico romanzo di formazione, per mutamento non si intende il cambiamento del protagonista nel senso di crescita o miglioramento di sé, ma una mutazione fisica o psichica causata da un oggetto (fisico o non) di cui il soggetto subisce passivamente l’influenza. Gli esempi in merito si sprecano: dal teletrasporto in The Fly, all’utero triforcuto in Dead Ringers, per arrivare a Crash (1996) in cui un rapporto distorto con l’oggetto finisce per trasformare le automobili in strumento necessario per l’eccitamento sessuale dei protagonisti. Ovviamente questa non è da intendersi come una massima estendibile in maniera identica a tutto il cinema di Cronenberg, ma più come una lente attraverso cui è possibile guardare alla maggior parte delle pellicole di questo regista tentando di individuarne un discorso comune.


Il rapporto che il regista canadese individua tra il suo protagonista e l’oggetto “modificante” è sempre un cambiamento operato dal secondo sulla natura del primo. Il protagonista cronenberghiano, in altre parole, vede modificato il suo assetto libidico dall’oggetto con cui viene a contatto. L’oggetto modificante si staglia nella psiche del soggetto distorcendo una delle necessità già presenti (cibo, sonno, sessualità…) o creandone di nuove. Secondo lo psicologo Lorenzo Curti (2018), Burroughs vedeva la droga come costruttrice di una nuova necessità che porta il soggetto ad un godimento mortifero, ovvero ad un assetto libidico in cui la pulsione sessuale, o la necessità di mangiare sono messe in secondo piano rispetto all’uso della sostanza. Esattamente allo stesso modo, a nostro avviso, Cronenberg tratta il rapporto tra il protagonista e la sua ossessione. L’ispirazione è probabilmente volontaria e le analogie tra lo scrittore della beat generation e il regista canadese sono evidenti e numerose. Aldilà della comune passione per l’entomologia, possiamo vedere come sia, in effetti, stato lo stesso Cronenberg a firmare l’unica trasposizione cinematografica di un romanzo di Burroughs con The Naked Lunch (1991) e come anche il noto critico cinematografico Enrico Ghezzi abbia definito tutte le storie del cinema cronenberghiano come un intreccio tra la follia delirante di William Burroughs e la letteratura fantascientifica di Philip K. Dick.  


In Videodrome, Max Renn (interpretato da James Woods) è il direttore di Civic TV, un canale via cavo che trasmette contenuti violenti e pornografici. Il film riflette il contesto degli anni '80, segnato dalla crescente fascinazione per i cosiddetti "snuff movies" (film leggendari, quasi sempre falsi, che rappresentano torture reali) e dall'emergere del mercato dei film in home video. Durante la sua ricerca di nuovi contenuti per il suo canale, Max entra in contatto con Videodrome, un programma pirata che trasmette immagini estremamente violente, con una frequenza che si rivelerà essere all’origine di un tumore al cervello negli spettatori che lo seguono. Esattamente come gli spettatori, il protagonista inizierà ad essere soggetto a confuse allucinazioni e deliri, frutto del lento svilupparsi del cancro. Alla ricerca dell’origine di Videodrome, Max scopre essere frutto di questa organizzazione denominata “La Chiesa Cattolica”, gestita dal professor Brian O'Blivion.  Le persone al suo interno venerano il medium televisivo ed ambiscono a vivere nell’etere, ovvero in quella che viene definita come “nuova carne”.


Il termine new flesh è presente in diverse pellicole di Cronenberg e, seppur si riferisca ad oggetti diversi a seconda del film preso in esame, mantiene concettualmente sempre lo stesso significato: la nuova carne è il progresso, il nuovo stadio dell’umanità raggiunto grazie all’oggetto modificante.



Lo sguardo di Cronenberg sul rapporto uomo-medium è mutuato quasi per intero dal sociologo canadese e profondo studioso dei media Marshall McLuhan. Per questo autore il rapporto tra uomo e media è quello di una modifica radicale della natura del primo ad opera dalla larga diffusione del secondo. Proviamo ad approfondire il concetto utilizzando le sue stesse parole:


“Gli effetti della tecnologia non si verificano infatti al livello delle opinioni o dei concetti, ma alterano costantemente, e senza incontrare resistenza, le reazioni sensoriali o le forme di percezione. […] Se il potere formativo dei media è nei media stessi, ciò solleva una quantità di problemi importanti che qui si possono solo menzionare ma che meriterebbero volumi. E precisamente che i media sono materie prime o risorse naturali, esattamente come il carbone, il cotone o il petrolio.”

McLuhan, Marshall. (1964), “Gli strumenti del comunicare.”


Secondo McLuhan, i media cambiano la nostra natura poiché si costituirebbero come nient’altro che un prolungamento di un nostro organo, di un nostro senso o di una parte di noi. Uno degli esempi descritti dal sociologo è l’idea che l’elettricità si costituisca come estensione del nostro sistema nervoso, cioè che colleghi tutti gli individui tra loro rendendoli più vicini ad essere un unico grande soggetto. La stampa, invece, sarebbe causa del nazionalismo (e della nascita dello stato) poiché avvicina e rende più simili gli individui che parlano una stessa lingua e leggono gli stessi giornali unendoli sotto un'unica narrazione.

Secondo McLuhan, quindi, per avere uno sguardo autenticamente analiticamente non dobbiamo guardare al mondo prestando attenzione ai i contenuti dei nostri scambi, bensì alla forma dei media che li regolano.


“Torniamo alla luce elettrica. Che la si usi per un’operazione al cervello o per una partita di calcio notturna non ha alcuna importanza. Si potrebbe sostenere che queste attività sono in un certo senso il «contenuto» della luce elettrica, perché senza di essa non potrebbero esistere. Ma questo non fa che confermare la tesi secondo la quale «il medium è il messaggio», perché è il medium che controlla e plasma le proporzioni e la forma dell’associazione e dell’azione umana. I contenuti, invece, cioè le utilizzazioni, di questi media possono essere diversi, ma non hanno alcuna influenza sulle forme dell’associazione umana. […] Ogni medium, infatti, ha il potere di imporre agli incauti i propri presupposti. Per controllare e prevedere, è necessario evitare questa condizione subliminale di ipnosi narcisistica. E la strada migliore per giungere a questo fine consiste nel sapere che l’incantesimo può instaurarsi immediatamente dopo il contatto, come alle prime battute di una melodia”

McLuhan, Marshall. (1964), “Gli strumenti del comunicare.”


Per McLuhan le conseguenze del cambiamento generato da un nuovo media, riguardano sia l’intorpidimento del senso coinvolto, cioè, nel caso di Videodrome, il distacco dalla percezione visiva della violenza, sia un incantamento generato dal media che diventa, quindi, non strumento a disposizione del soggetto, ma padrone stesso del soggetto, portando ad esiti potenzialmente catastrofici.


O’Blivion e Max, in effetti, abbandoneranno la vita terrena nella vecchia carne proprio perché narcisisticamente innamorati e inglobati (in questo caso quasi letteralmente) dal media televisivo. Nella pellicola si scoprirà ben presto che O’Blivion è in realtà morto da anni e continua a vivere soltanto nelle videocassette registrate da lui stesso prima di morire. Non è un caso che il nome scelto dal personaggio si basi sulla parola inglese oblivion, come a indicare che con la sua nuova vita nell’etere l’uomo stesse cercando di evitare una delle più grandi paure dell’umanità, ovvero l’oblio del morire, dello smettere di esistere e dell’essere dimenticato. La nuova carne, in questo caso, è infatti la vita dell’uomo nell’etere, ovvero l’immortalità della propria immagine. Il media, nel cinema di Cronenberg, crea un nuovo essere umano che, nel tentativo di superare sé stesso, finisce per autodistruggersi. Così è per il teletrasporto di The Fly, per la “psico-plasmina” di The Brood (1979), per il videogioco di eXistenZ (1999) e così via.



L’importanza radicale di Videodrome nella filmografia di Cronenberg è anche quella di sancire il consolidamento dell’influenza del pensiero di McLuhan sullo sguardo del regista. Nelle pellicole precedenti l’oggetto modificante mostrava soltanto nichilisticamente la realtà del soggetto: pensiamo a Rabid (1977), The Brood o Shivers in cui sieri o sostanze da mad doctor anni ’50 fanno emergere l’Es dei soggetti (non a caso la forma del virus di Shivers è al contempo fallica ed escrementizia) o rendono manifesti nel corpo disagi fino ad allora evidenti soltanto su un piano psichico. È con Videodrome che avviene un cambiamento radicale, ovvero, l’oggetto smette di mostrare la realtà del soggetto, ma anzi la offusca. In altre parole, non si tratta più di una deformità nascosta nell’essere umano, un’ombra che cerchiamo di celare e che l’oggetto modificante finisce per rivelare, ma ora è il medium stesso a intervenire: corrompe, trasforma e distorce i sensi, riplasmando l’assetto libidico umano in qualcosa di radicalmente diverso.


Il critico cinematografico Gianni Canova, nel suo saggio dedicato al regista canadese, definisce Videodrome come un film in cui: “Cronenberg riflette sull’intossicazione iconica derivata dal consumo di immagini televisive e sulle modificazioni fisiche ed antropologiche che la diffusione della TV sta portando all’appartato percettivo umano [...] La grandezza di Videodrome sta non soltanto nella lucidità con cui visualizza i processi di contaminazione fra l'organico e l'elettronico, mostrando una televisione che diventa carne e un corpo di carne che funziona come un magnetoscopio televisivo. […] C'è qualcosa d'altro, qualcosa di più: il fatto che Cronenberg applica anche al linguaggio (al cinema) quei processi di contaminazione e confusione che mostra all'opera sul piano dei corpi. […] Videodrome è, per ammissione dello stesso Cronenberg, un film «in prima persona»: cioè un film che rompe con l'abitudine dello spettatore di considerare la macchina da presa come un «narratore onnisciente». In Cronenberg non è così. Di fronte a Videodrome non è possibile attribuire alle immagini un aprioristico statuto ontologico di verità. Perché la narrazione, basata sull'incessante cambiamento dei punti di vista, non consente n a nessuno di stabilire con certezza se ciò che si vede è un'allucinazione, sogno o una "realtà".

Canova, Gianni (2000), “David Cronenberg”


La differenza più profonda tra McLuhan e Cronenberg concerne, probabilmente, il differente grado di fiducia che i due ripongono nelle capacità dell’uomo. Per il regista canadese, più pessimisticamente, l’uomo è quasi sempre vittima dei media con cui si relaziona ed è quasi sempre incapace di essere padrone di sé stesso. Il cambiamento è dunque un avanzamento necessario dinanzi a cui il soggetto può fare ben poco. Cronenberg non valuta mai in maniera moralmente negativa i cambiamenti che avvengono nei suoi film, sembra al massimo che ne segua inesorabilmente l’evoluzione condividendo con lo spettatore le sue inquietudini e sensazioni.


Nel caso specifico di Videodrome e dell’impatto dell’immagine televisiva sull’umano, crediamo sia però superficiale fermarsi alle letture (comunque sensate) riguardanti l’anestetizzazione alla violenza o su quanto sia stata preveggente l’idea di una “nuova carne virtuale”, cosa che oggi sono ovviamente diventati i social network. Il cuore del messaggio cronenberghiano crediamo risieda, invece, nell’immaginare un cambiamento dell’essere umano più radicale e profondo, fondato sulla dipendenza dal media e che sfocia in una sorta di transumanesimo pessimista, ovvero nella fine dell’uomo fatto di “vecchia carne”.


Gianni Canova propone addirittura un analogia tra Videodrome e La Società dello spettacolo (1967) di Guy Debord. In effetti, sia in Debord che in Cronenberg l’immagine svia, illude, condiziona e aliena la psiche dell’uomo. La concezione cronenberghiana, però, svuotata del marxismo di Debord, sembra indicare il futuro prodotto dell’immagine televisiva come un oltreuomo che, a differenza di quello nietszchiano, non ha la forza di guardare nell’abisso, ma si trova costretto a farlo senza poter scegliere. Come il mad doctor anni ’50, archetipo a cui molti personaggi cronenberghiani si rifanno, l’uomo contemporaneo è un moderno Prometeo (si pensi al sottotitolo del Frankenstein di Mary Shelly) che sta costruendo la sua condanna senza nemmeno averne coscienza o potere decisionale.


La filmografia di David Cronenberg rappresenta una delle esplorazioni più profonde e originali del rapporto tra l’essere umano e le trasformazioni imposte dalla modernità, in particolare attraverso il filtro della tecnologia e dei media. Videodrome emerge come una sintesi perfetta del suo approccio, intrecciando filosofia, sociologia e narrazione cinematografica per indagare le modificazioni dell’identità umana di fronte al potere pervasivo delle immagini e dei nuovi mezzi di comunicazione.


Il concetto di "nuova carne" si fa qui cardine di una riflessione sulla natura dell'evoluzione tecnologica e delle sue implicazioni antropologiche: non un progresso neutro o lineare, ma una trasformazione che invade il corpo e la mente, destabilizzando il soggetto e rimodellandolo in forme imprevedibili e spesso inquietanti. In questo senso, The Substance (2024) raccoglie l’eredità di Videodrome, riproponendo in chiave contemporanea il conflitto tra il soggetto e l’oggetto modificante, anche se a nostro parere non in maniera altrettanto profonda e sfaccettata. La "sostanza" non solo separa drasticamente l'individuo dalla sua identità originaria, ma visualizza questa frattura in una forma ancora più netta e tangibile, incarnata nella lotta tra le due versioni di sè.


Il recente interesse per il tema dei media e della comunicazione, riacceso da opere come The Substance, per quanto trattato in maniera relativamente semplicistica, ci ricorda quanto fosse pionieristica la visione di David Cronenberg con l’uscita di Videodrome nel 1984. Il regista non solo anticipava l'influenza crescente dei media sul corpo e sulla mente, ma esplorava anche il confine sfumato tra realtà e simulazione, un tema quanto mai attuale. Con Crimes of the Future, Cronenberg si conferma ancora una volta un fine vivisezionatore del nostro tempo. La sua capacità di cogliere le sfaccettature del presente e tradurle in una narrazione che sfida i confini dell’etica, della tecnologia e dell'evoluzione umana ci invita a riflettere su un futuro che appare oggi distopico, ma che potrebbe trovare una logica nel contesto di una prossima evoluzione culturale e biologica. Come sempre, il suo cinema non offre risposte, ma spinge a domande che continuano a risuonare nel dibattito contemporaneo.


Sperando di avervi interessato,


Samuele Antonioli e Marta De Chiara

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