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Immagine del redattoreMonolite Teatro

STRADE PERDUTE: il femminile insubordinato di Lynch

Nel primo articolo su Fellini (se non l'avete letto, rimediate subito:https://rb.gy/xge43f) abbiamo accennato ad un possibile successivo argomento. Come promesso siamo tornati sui nostri passi, che ci hanno condotto a Strade Perdute(1997) di David Lynch.

In questo film il regista statunitense, per la prima volta nella sua carriera, porta alle estreme conseguenze i tratti onirici ed estranianti, sovvertendo completamente i canoni della narrazione classica. Jerome Bruner, psicologo che teorizzò le basi del pensiero narrativo, definì la presenza di rapporti causa-effetto come la caratteristica fondante per l’esistenza di una storia. In precedenti opere di Lynch, come Velluto Blu (1986) o Eraserhead(1977), già molto surreali e grottesche, gli elementi onirici erano confinati in una storia tutto sommato lineare, per quanto bizzarra.In Strade Perdute invece, per la prima volta in un lungometraggio del regista, la rappresentazione del sogno passa attraverso la destrutturazione della narrazione stessa, rompendoapparentemente perfino i rapporti causa-effetto tra gli avvenimenti. Questi, infatti, divengono legati non alla logica narrativa del reale, ma agli anarchici dettami del soggetto narrante, ovvero l’inconscio del protagonista.

Possiamo scindere la trama in due archi narrativi specchiati. La prima parte racconta il rapporto ambiguo e travagliato tra Fred Madison e sua moglie, di cui sospetta il tradimento. Accusato dell’omicidio di quest’ultima, viene condannato alla sedia elettrica. Qui veniamo introdotti alla seconda parte, che ha il suo inizio con un inspiegato cambio di identità del protagonista. Fred si incarna nella figura di Peter Dayton, un giovane meccanico che si infatua della ragazza di un noto boss mafioso. La conclusione della seconda narrazione, ci riporterà al punto di partenza, dando vita ad un uroboro cinematografico.  



La specularità delle due parti è prodotta dal rapporto identico che il protagonista, nelle diverse identità, sviluppa con i due personaggi femminili interpretati da Patricia Arquette, entrambi volutamente inscrivibili all’archetipo, e forse anche allo stereotipo, della femme fatale. A questo proposito sono evidentissime le influenze del topos della dark lady, tipico del cinema noir. L’amante di Peter , ha una somiglianza evidente con la protagonista di uno dei film più identificativi del genere: La fiamma del peccato (1944). La femme fatale noir ha potere sessuale, è forte e induce l’uomo che la desidera all’autodistruzione. Ne La fiamma del peccato la donna utilizza infatti la sua seduzione per spingere l’agente assicurativo a collaborare con lei nell’omicidio di suo marito.

Nell’articolo su 8½, avevamo fatto riferimento all’analogia che intercorre tra Lynch e Fellini nel loro modo di ritrarre i personaggi femminili. Entrambi gli sguardi attraversano la macchina da presa da una prospettiva maschile totalizzante, le donne sono rappresentate come oggetto del desiderio del protagonista. La profonda differenza è che, dove Fellini vede nella donna da lui rappresentata una corrispondenza con quella che lui crede essere la donna reale, Lynch è invece consapevole dello scarto che vi è tra le due, ovvero è consapevole che la donna non sia tutta per lo sguardo dell’uomo e di conseguenza non si esaurisca in esso.

Il filosofo e psicanalista Slavoj Zizek, nel documentario Guida perversa al cinema (2005), sostiene che Lynch sia profondamente spaventato dall’enigma della donna e che questa paura abbia origine nell’incertezza causata dalla sua mancata risposta alla domanda dell’uomo “Che cosa vuoi da me?”.

Una delle scene più importanti ed interessanti dell’intera pellicola è la messa in scena del rapporto sessuale tra Fred e la moglie. Lui è turbato, teme che lei lo stia tradendo con qualcuno, la sente distante e ne è spaventato. La scena si conclude con l’eiaculazioneprecoce di Fred, seguita da una materna pacca sulla spalla da parte della donna, accompagnata dalla frase “Va tutto bene, è tutto okay”. La risposta della donna, fredda e rassicurante, rappresentaper il protagonista la concretizzazione della grande angoscia infantile: la castrazione. La moglie, in quel momento, mette in scena la paura di Fred, ovvero non lo riconosce come il suo uomo, non ne riconosce il valore fallico, non lo riconosce come potente. La posizione di Fred, in questo momento, è sostanzialmente sovrapponibile a quella dell’isterica lacaniana, ovvero vuole essere desiderato dalla moglie più di ogni altra cosa. Vuole che la moglie sia solo per lui e - esattamente come l’isterica si chiede cosa voglia dire essere una vera donna - Fred si chiede cosa voglia dire essere un vero uomo. In altre parole, vive in uno stato di assoluta crisi esistenziale in cui non sa come essere l’uomo che sua moglie vorrebbe.

Il protagonista, davanti a quest’avvenimento inaccettabile, uccide la moglie e si rifugia in un alter ego stereotipicamente mascolino. Non è più un jazzista fragile, ma un meccanico tutto d’un pezzo,un giovane promiscuo e sessualmente potente. Il nuovo Fred prende simbolicamente il posto dell’oggetto con cui il protagonista si sente in competizione, colui che lui suppone possieda un sapere sul godimento, cioè nel nostro caso sappia come essere un vero uomo, l’uomo che la moglie desidera realmente nei suoi pensieri.

L’angoscia provata dal protagonista, lo sguardo osceno che lo porta a fare i conti con le sue paure, è rappresentata dal mistery man, un uomo alieno al contesto narrativo, truccato come un mimo e che porta con sé una macchina da presa. Il suo personaggio viene introdotto fin da subito in maniera indiretta, tramite delle cassette videoregistrate recapitate a casa di Fred, che mostrano lui e sua moglie dormire. L’apice viene raggiunto nelfinale in cui l’uomo insegue il protagonista, obbligandolo a guardarsi attraverso la macchina e accettare la realtà. Il mistery man diventa simbolo di un nuovo sguardo sulla vita del protagonista, ovvero uno sguardo più lucido e disancorato dal rapporto immaginifico che lui ha con la moglie.



La paura di Lynch, così come quella del protagonista, è riassumibile nella paura dell’insubordinazione della donna. Il timore che non sieda nel posto che le è stato assegnato dall’uomonella cultura patriarcale ha come conseguenza un’inevitabile ferita narcisistica.

Per usare le parole della de Beauvoir:

“L'uomo può pensarsi senza la donna, lei non può pensarsi senza l'uomo. Lei è soltanto ciò che l'uomo decide che sia; così viene qualificata «il sesso», intendendo che la donna appare essenzialmente al maschio un essere sessuato: la donna per lui è sesso, dunque lo è in senso assoluto. La donna si determina e si differenzia in relazione all'uomo, non l'uomo in relazione a lei; è l'inessenziale di fronte all'essenziale. Egli è il Soggetto, l'Assoluto: lei è l'Altro.”

​​​​​​​​Simone de Beauvoir, Il secondo sesso.

Per l’autrice, dunque la donna non possiede alcuna identità al di fuori di quella in relazione all’uomo. È costretta ad essere la donna di un uomo, l’Altro di un soggetto modellante. Donna, perciò, non si nasce in termini biologici, lo si diventa in funzione della posizione subordinata in cui si è confinate dall’uomo. E’ costretta ad essere la donna di un uomo, l’Altro di un Soggetto al quale porsi in relazione.

Da un punto di vista sociologico l’uomo necessita di una donna, di un Altro, che gli confermi che è l’essere potente e sicuro che la società si aspetta che sia. La “pacca materna” che la donna tira a Fred, squarcia questa credenza generando una rottura del suo Sè. L’uomo, in ogni cultura fallocentrica, è da sempre cosciente di non essere il fallo, sa di essere nel ruolo del padre ma di non essere il padre, sa benissimo di star fingendo di sapere come essere un uomo e di non saperlo davvero. La donna, in quest’ottica rilegata ad un ruolo subalterno, non è solo l’oggetto del desiderio, la fonte di appagamento o “l’angelo del focolare”;ma è sempre stato chiaro incarnasse anche colei che, se da una parte rende stabile questa sua credenza, può anche disvelarla. Il protagonista lynchano non solo suppone un sapere sul godimento nell’altro uomo, ma lo suppone anche, e soprattutto, nella donna. Egli è convinto che la donna sappia come dovrebbe essere un vero uomo e che, se lui tradirà le sue aspettative, lei si accorgerà della sua menzogna.

La corrispondenza tra femminilità e paura per l’integrità maschile ha origini molto antiche. La donna non è solo tentatrice perché può portare l’uomo a cedere alla tentazione della sessualità, ma è spaventante perché può destituire l’uomo dalla sua posizione di dominio. I ruoli biblici della donna ne sono un esempio, come La Lisistrata di Aristofane, per quanto il tutto sia esorcizzato attraverso la commedia, o Il Padre di Strindberg nella paura del protagonista di perdere il suo ruolo.

L’insubordinazione femminile, l’uscita dal posto dell’Altro e da uno schema prevedibile, generano crisi nell’uomo. Molti casi oggi descritti come violenza di genere rientrano infatti nel seguente quadro: l’uomo picchia la donna perché questa non si subordina al suo volere, perché genera in lui angoscia in quanto non lo riconosce come autorità. Fred uccide sua moglie esattamente per questo motivo. Questa dinamica è completamente inscrivibile alla dialettica servo-padrone hegeliana. L’uomo diviene, con l’istituzione della società patriarcale, padrone della donna, ma, in un secondo momento, inizia a dipendere dal suo riconoscimento. Come il re può essere re solo se i servi lo riconoscono come tale, la stessa cosa, agli occhi dell’uomo, è nel rapporto tra i sessi. La donna, in quest’ottica, è colei che può mettere in crisi l’intera struttura poiché è anche altro dal posto che l’uomo ha riservato per lei, ovvero, per usare le parole di Lacan, non è tutta sotto al fallo. La donna, o ancora meglio, la prospettiva femminile, raggiunge così finalmente il suo potenziale di soggetto politico rivoluzionario.

La possibilità del protagonista lynchano di redimersi nel secondo arco narrativo è ovviamente fallita in partenza. Per quanto l’alter ego di Fred sia sessualmente potente e riesca ad intrattenere una relazione sessuale appagante con il personaggio di Patricia Arquette per un breve periodo, per quanto riesca a sconfiggere il suo vecchio partner e non abbia più ostruzioni ad un rapporto, la donna pronuncia di nuovo, questa volta verbalmente, la sentenza inequivocabile: “Tu non mi avrai mai!”.



In una sorta di eterno ritorno, o meglio una coazione a ripeterefreudiana, il film ricomincia in un nuovo tentativo del protagonista di subordinare la moglie, nella ripetizione di un ciclo infinito dacui, sia per il protagonista che per l’uomo, è impossibile uscire.

Nei due poli rappresentati da Lynch e Fellini,  si può mettere in luce un’interessante punto di vista su quella che oggi viene chiamata mascolinità tossica e sulla complessità delle implicazioni dei ruoli culturalmente costruiti sull’uomo e sulla donna. Questi non rappresentano ovviamente la totalità delle situazioni del reale e non sono immutabili, il mondo anzi sta cambiando e ci auspichiamo continui a farlo in questa direzione. Per un cambiamento reale e ragionato crediamo sia però importante analizzare la situazione attuale e passata sotto diverse sfaccettature. Quella offerta oggi ci auguriamo possa essere, nel nostro piccolo, una di queste.

Augurandovi un piacevole smarrimento nell’onirico lynchiano,


Samuele Antonioli e Marta De Chiara

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