Anche questo articolo contiene spoiler, mi dispiace, ma non sono capace di parlare dei libri a metà.
Se dovessi provare a spiegare con che criterio scelgo ogni volta il prossimo libro da leggere, forse un po' mi vergognerei.
La verità è che nulla ha un ordine nelle mie scelte, letture che attendono da anni vengono spesso e volentieri soppiantate da nuove e fulminanti scoperte a cui non riesco a sottrarmi. Con il tempo ho imparato a non avere aspettative, liste o obbiettivi.
L'unica certezza che ho è che, quasi sempre, il prossimo libro non si trova tra gli 80 che la mia libreria ospita e che ancora aspettano di essere letti (il numero sorpacitato vorrei poter dire di essermelo inventato, ma purtroppo somiglia molto a quello reale).
Il tasso di casualità con cui però ho scelto il libro di cui vorrei parlarvi oggi, "Una donna" di Sibilla Aleramo, è molto più alto del solito, si è trattato di una concatenazione di eventi che con ancora meno difficoltà del solito mi ha fatto scegliere - ancora una volta - un libro che non avevo incontrato prima a discapito degli 80 nella mia libreria.
Iniziamo con le casualità.
Se per una volta nella mia vita facessi qualcosa con le tempistiche che mi prefisso, questo articolo avrebbe funzionato da invito ad un evento che però è già passato, e a cui sempre la mia procrastinazione cronica ha impedito di partecipare (erano finiti i posti! sono una sfigata davvero), ma ecco io ve ne parlo sulla fiducia perchè me ne hanno parlato molto bene, perchè sembrava una figata, e perchè giuro su questo blog che se lo rifanno mi ci iscrivo senza se e senza ma, e vi invito in tempo.
Ecco è successo che Miu Miu, la casa di moda del gruppo Prada con a capo Miuccia Prada (tvb Miuccia) ha organizzato un evento di letteratura su due delle scrittrici più importanti del Novecento italiano. La prima delle due giornate è stata dedicata ad Alba De Céspedes, la seconda a Sibilla Aleramo ( https://miumiu-literaryclub.com/ ). Un club letterario organizzato da Prada? forse uno dei miei sogni erotici più nascosti, tutto ciò che ho sempre desiderato. Eppure la procrastinazione ha vinto, incredibile.
Ma andiamo avanti. Mia madre, che Miu Miu forse non sa nemmeno cos'è, e che ogni volta che le dico cosa sto leggendo - a prescindere da cosa sia - mi chiede "Qualcosa di più leggero no?", ecco lei ha molti più libri non letti di me, nella sua libreria (ma le diamo il bonus di quella trentina d'anni d'accumulo di differenza).
In genere ora leggiamo cose molto diverse, ma io ho sempre avuto il sospetto che le cose pesanti le piacessero un po', in fondo, magari più in passato rispetto ad ora, magari quando aveva il tempo di dedicarsi alle cose pesanti, perchè molti dei libri "pesanti" che ho letto io, li ho scoperti proprio nella sua libreria.
E Una donna di Sibilla Aleramo (1906), l'ho trovato proprio lì, guardandola quasi per caso, credendo ormai di saperla a memoria, e ricredendomi, perchè io questo libro lì dentro proprio non me lo ricordavo.
La combo sottolineatura + corsivo + grassetto applicata alla data di uscita del libro, (1906), non è a caso, doveva proprio attirare la vostra attenzione. Perchè se ero pronta a tutto ciò che c'è scritto in questo libro, non ero pronta a sapere quanto tempo fa fosse stato scritto.
Sibilla Aleramo è prima di tutto uno pseudonimo. Rina Marta Felicina Faccio è il vero nome della penna di questo libro.
Una donna è prima di tutto un titolo, ma anche un soggetto, una protagonista, una mente e soprattutto, Una donna è una mano che scrive.
Nata nel 1876 (ancora, di nuovo, sottolineatura + corsivo + grassetto, non riesco a resistere) Rina Faccio è una ragazza spigliata, che già nella preadolescenza conosce l'autosufficienza, la nobilitazione data dal lavoro e la responsabilità della sua famiglia.
Ha un rapporto molto stretto con suo padre, uomo colto, che la inizia al sapere, le insegna moltissimo, la porta a vedere con i suoi occhi le cose del mondo e della vita. Il padre ripone molta fiducia in lei e, di fatti, all'interno della sua azienda, la giovane copre una mansione molto importante: tenere i conti.
E' proprio all'interno dell'azienda, però, che si consuma uno dei momenti più dolorosi all'interno del libro, e anche all'interno della vita di Faccio, ovvero la perdita di questo lavoro in seguito allo stupro subito da un collega. L'episodio della violenza sessuale è raccontato con una particolare precisione nei dettagli e nonostante questo rimane volutamente fuori fuoco nell'insieme.
“Così, sorridendo puerilmente, accanto allo stipite d'una porta che divideva lo studio del babbo dall'ufficio comune, un mattino fui sorpresa da un abbraccio insolito, brutale: delle mani tremanti frugavano le mie vesti, arrovesciavano il mio corpo fin quasi a coricarlo attraverso uno sgabello, mentre istintivamente si divincolava. Soffocavo e diedi un gemito ch'era per finire in urlo, quando l'uomo, premendomi la bocca, mi respinse lontano. Udii un passo fuggire e sbattersi l'uscio. Barcollando, mi rifugiai nel piccolo laboratorio in fondo allo studio. Tentavo ricompormi, mentre mi sentivo mancare le forze; ma un sospetto oscuro mi si affacciò. Slanciatami fuor della stanza, vidi colui, che m'interrogava in silenzio, smarrito, ansante. Dovevo esprimere un immenso orrore, poichè una paura folle gli appari sul volto, mentre avanzava verso di me le mani congiunte in atto supplichevole....”
Il trauma oltrepassa la sua, e di conseguenza la nostra, capacità di assimilazione, seppur le parole utilizzate abbiano comunque la capacità di fare un gran male. Sul piano psichico, l'immediata conseguenza dell'abuso è la condotta apparentemente contraddittoria della vittima, che finisce per cercare sostegno proprio nel suo aguzzino.
È tanto dolorosa la coscienza della violenza quanto quella di aver perso l’indipendenza.
Il matrimonio, di seguito allo stupro e alla perdita dell'autonomia lavorativa, più che riparare, sconvolgono ovviamente l'animo di Sibilla e la sua natura.
“Appartenevo ad un uomo, dunque? Lo credetti dopo non so quanti giorni d'uno smarrimento senza nome. Ho di essi una rimembranza vaga e cupa. D'improvviso la mia esistenza veniva sconvolta, tragicamente mutata. Che cos'ero io ora? Che cosa stavo per diventare? La mia vita di fanciulla era finita. Il mio orgoglio di creatura libera e riflessiva spasimava; ma non mi permetteva d'indugiarmi in rimpianti e discolpe, mi spingeva ad accettar la responsabilità dell'accaduto.”
Senza sorpresa Sibilla subirà violenze fisiche e psicologiche dal marito, botte e parole saranno ricorrenti all'interno del matrimonio, in ogni casa e paese da loro abitati (il lavoro di lui farà cambiare molte volte il paesaggio dietro alle violenze).
Noi, senza sorpresa, leggeremo delle botte e delle parole, constatando ancora una volta come la condizione borghese, oggi come allora, non salvi nessuno, come la condizione intellettuale, oggi come allora, non risparmi nessuno, come tristemente il destino di molte donne sia, oggi come più di cento anni fa, simile.
Oltre alle parole e alle botte, ciò che c'è di più doloroso all'interno del libro è la consapevolezza. La concreta coscienza di una posizione ingiustamente e senza alcun motivo inferiore, la concreta coscienza del completo non senso di una sottomissione e di un'obbedienza. Per lo stesso principio insomma che non porta la massa ad insorgere fino a che non c'è una coscienza di classe, allo stesso modo la donna protagonista del romanzo sembra incastrata nelle sue dinamiche di donna fino a che non prende coscienza del suo essere donna.
La protagonista cade quindi in una condizione esistenziale liminare che consiste in uno stato di atonia. Lei stessa da sola cerca di rassegnarsi alla soffocante vita familiare.
Un altro grande dolore della vita della protagonista sarà il ripensamento rispetto alla figura del padre. Dalla figura di fidato e saggio maestro, iniziatore alle bellezze del mondo e trampolino di crescita, si svela con il tempo agli occhi di Sibilla anche l'altra sua natura, ossia quella di uomo imprenditore, capitalista, che conosciuta la sua condizione di vittima la esclude dall'azienda e la lascia nelle mani dell'aggressore, piuttosto che proporle una via d'uscita. D'un tratto taciturno, si rivela incapace di comprendere l'infelicità che abitava non solo Sibilla, ma anche la madre, sua moglie. E’ infatti la figlia ad essere la prima a comprendere il reale rapporto tra i genitori, ma solo dopo il primo campanello d'allarme del tentato suicidio della madre, che non farà altro che essere allontanata in una casa di cura e rimpiazzata dal padre con un'amante.
La madre risulta essere allora non l'umile persona creduta, ma una donna avvilita dal marito, la cui vicenda, sebbene scoperta troppo tardi, riuscirà a spingere Sibilla a liberarsi dalle sue catene. Diventata madre ella stessa, Sibilla costruisce un legame fortissimo con la figura materna, nonostante possa solo attingere al passato e non riconosca più nemmeno un briciolo in quella donna ormai devastata dalle "cure".
Anche Sibilla tenterà il suicidio, in quel lasso di tempo che separa la resa di coscienza della sua condizione al reale punto di svolta e di ribellione rispetto alla sua situazione.
Oltre a rappresentare una denuncia della condizione femminile, tra le prime non solo in Italia, Una donna è infatti anche una vicenda esemplare di ribellione.
La prima ribellione la compie nell'atto di scrivere. Decisa a riprendere in mano la sua vita lavorativa, inizia a scrivere per una rivista femminista. Deve, per lavoro, leggere libri e recensirne. si accorge così della grande mancanza di una letteratura che la rappresentasse.
"Che cosa desideravo diventare? Giornalista, no: cominciavo a sentir la quasi totale inutilità di quello sparpagliamento di idee incomplete. Artista? Non osavo neppure pensarci, esagerando la mia incultura, la mia mancanza di fantasia, la mia incomprensione della bellezza... Un libro, il libro... Ah, non vagheggiavo di scriverlo, no! Ma mi struggevo, certe volte, contemplando nel mio spirito la visione di quel libro che sentivo necessario, di un libro d'amore e di dolore, che fosse straziante e insieme fecondo, inesorabile e pietoso, che mostrasse al mondo intero l'anima femminile moderna, per la prima volta, e per la prima volta facesse palpitare di rimorso e di desiderio l'anima dell'uomo, del triste fratello... Un libro che recasse tradotte tutte le idee che si agitavano in me caoticamente da due anni, e portasse l'impronta della passione. Non lo avrebbe mai scritto nessuno? Nessuna donna v'era al mondo che avesse sofferto, quel ch'io avevo sofferto, che avesse ricevuto dalle cose animate e inanimate gli ammonimenti ch'io avevo ricevuto, e sapesse trarre da ciò la pura essenza, il capolavoro equivalente ad una vita?"
La seconda ribellione consiste in una proposta. Sibilla si accorge, in un momento di infermità del marito, che preso dalle allucinazioni per la febbre, chiama per nome un'altra donna. E' dunque anche lui vittima di qualcosa, per una volta. In un successivo loro colloquio, si avrà l'unico momento di parità dei due in cui, entrambi coscienti dell'infelicità di lei e della noncuranza di lui, innamorato di un'altra donna, concorderanno alla separazione. Ma questo balenio di parità si infrange subito, per via di un accesso di rabbia e di gelosia del marito.
Tutte le premesse per una separazione pacifica sembrano svanire, ed è qui che si giunge quindi al terzo atto di ribellione. Sibilla soffre e sceglie di non soffrire più, a costo di perdere suo figlio, ossia l'unica sua luce, poichè così era ciò che voleva la legge a quel tempo.
Lascia dunque la sua casa, la sua creatura, le sue amicizie che hanno contribuito alla creazione di una sua coscienza, ma cerca di non permettere a ciò di lacerarla completamente, al contrario prova a rimettere insieme i cocci e ritrovare tutta la propria solidità per lanciare la sua «dichiarazione di guerra» ( Maria Corti, 1996, p. 18) contro la società patriarcale.
A questo punto non si tratta più di ribellione, si tratta di un atto cosciente e libero. Decide di scrivere, scrive il libro che noi leggiamo.
"Ed ero più che mai persuasa che spetta alla donna di rivendicare sé stessa, ch’ella sola può rivelar l’essenza vera della propria psiche, composta, sì, d’amore e di maternità e di pietà, ma anche, anche di dignità umana!"
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